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Un caso particolare in relazione all’art. 147 D.Lgs. 219/2006 tra incertezza normativa e giurisprudenziale.

 

  1. Introduzione alla fattispecie: un reato sempre più diffuso.

Il futuro delle farmacie online che si occupano principalmente di importazione ed esportazione di farmaci, è legato indissolubilmente alle scelte che i Governi prenderanno in merito a questa delicata tematica.

Il caso che ha dato spunto al presente contributo era riferito ad una c.d. Farmacia Canadese; negli ultimi anni, infatti, le farmacie canadesi hanno perso il diritto di fare pubblicità (ad esempio negli USA) perché il Dipartimento di Giustizia americano ha evidenziato come numerose farmacie online, che apparivano sulla carta come “canadesi”, vendessero in realtà medicinali provenienti da altri Stati.

In Italia è penalmente sanzionato l’acquisto di farmaci per i quali occorrerebbe prescrizione medica, di conseguenza gran parte dello shopping online farmaceutico è vietato.

In particolare, l’art. 55 del D.Lgs. 219/2006 sanziona penalmente l’assenza di autorizzazione all’importazione.

L’autorizzazione in oggetto è quella rilasciata dall’A.I.F.A. (associazione italiana del farmaco).

Il principale elemento valutato dalla P.G., molto spesso quella in servizio presso dogane ed aeroporti, è il quantitativo acquistato/importato, elemento inevitabilmente collegato al c.d. uso personale.

Fin da subito si può pensare alle fattispecie in tema di stupefacenti, che in qualche modo rientrano all’interno della medesima ratio legis, costituendo anch’esse fattispecie c.d. di pericolo e che portano la tutela penale ad anticipare il proprio intervento a salvaguardia del bene giuridico protetto.

È quindi probabile che all’esito dei controlli doganali volti a verificare il contenuto della spedizione (medicinali falsificati o non conformi) la P.G. faccia queste valutazioni.

Si precisa tuttavia che la Corte di Cassazione non si è mai espressa (a meno di sviste dello scrivente) sul punto e, pertanto, manca il riferimento giurisprudenziale più autorevole.

Certamente la cornice edittale della contravvenzione prevede una risposta sanzionatoria che nella maggioranza dei casi porterà all’emissione di un decreto penale di condanna, con conseguente ammenda e verosimilmente la sospensione condizionale della pena, che può essere tuttavia una spada di Damocle.

L’opportunità o meno di usufruire della sospensione condizionale non è oggetto di questo contributo, ma certamente tale valutazione dovrà guidare il legale nella strada da scegliere a tutela del proprio assistito.

 

  1. La fattispecie normativa

Si riporta il testo dei primi due commi dell’art. 147 D.Lgs. 219/2006:

  1. Il titolare o il legale rappresentante dell’impresa che inizia l’attività di produzione di medicinali o materie prime farmacologicamente attive senza munirsi dell’autorizzazione di cui all’articolo 50, ovvero la prosegue malgrado la revoca o la sospensione dell’autorizzazione stessa, e’ punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro diecimila a euro centomila. Le medesime pene si applicano, altresì, a chi importa medicinali o materie prime farmacologicamente attive in assenza dell’autorizzazione prevista dall’articolo 55 ovvero non effettua o non fa effettuare sui medicinali i controlli di qualità di cui all’articolo 52, comma 8, lettera b). Tali pene si applicano anche a chi prosegue l’attività autorizzata pur essendo intervenuta la mancanza della persona qualificata di cui all’articolo 50, comma 2, lettera c), o la sopravvenuta inidoneità delle attrezzature essenziali a produrre e controllare medicinali alle condizioni e con i requisiti autorizzati.
  2. Salvo che il fatto non costituisca reato, chiunque mette in commercio medicinali per i quali l’autorizzazione di cui all’articolo 6 non è stata rilasciata o confermata ovvero è stata sospesa o revocata, o medicinali aventi una composizione dichiarata diversa da quella autorizzata, è punito con l’arresto sino a un anno e con l’ammenda da duemila euro a diecimila euro. Le pene sono ridotte della metà quando la difformità della composizione dichiarata rispetto a quella autorizzata riguarda esclusivamente gli eccipienti e non ha rilevanza tossicologica.

 

Mentre il primo comma individua l’attività tipica di un soggetto qualificato (il titolare o il legale rappresentante di un’impresa che inizia una specifica attività di produzione di medicinali o materie prime farmacologicamente attive), il secondo comma individua un soggetto attivo generico: chiunque.

Sempre il secondo comma fa riferimento all’art. 6 del medesimo decreto, di cui infra:

  1. Nessun medicinale può essere immesso in commercio sul territorio nazionale senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione comunitaria a norma del regolamento (CE) n. 726/2004.
  2. Quando per un medicinale è stata rilasciata una AIC ai sensi del comma 1, ogni ulteriore dosaggio, forma farmaceutica, via di somministrazione e presentazione, nonché le variazioni ed estensioni sono ugualmente soggetti ad autorizzazione ai sensi dello stesso comma 1; le AIC successive sono considerate, unitamente a quella iniziale, come facenti parte della stessa autorizzazione complessiva, in particolare ai fini dell’applicazione dell’articolo 10, comma 1.
  3. Il titolare dell’AIC è responsabile della commercializzazione del medicinale. La designazione di un rappresentante non esonera il titolare dell’AIC dalla sua responsabilità legale.
  4. L’autorizzazione di cui al comma 1 è richiesta anche per i generatori di radionuclidi, i kit e i radiofarmaci precursori di radionuclidi, nonchè per i radiofarmaci preparati industrialmente.

 Il richiamo all’art. 6 non è altro che la spiegazione della tipologia di autorizzazione necessaria al fine di considerare priva di rilevanza penale la fattispecie principale: la presenza o meno di una autorizzazione specifica da parte dell’A.I.F.A.

 

  1. Altri orientamenti giurisprudenziali e Dottrina.

Non vi sono orientamenti univoci e non è dato conoscere pronunce della Corte di Cassazione sul tema, pertanto il panorama è caratterizzato principalmente da interpretazioni dottrinali e da pochissime pronunce delle Corti di merito.

In particolare si segnala una pronuncia del Tribunale del Riesame di Roma, datata 02.09.2016, la quale afferma che è concessa l’importazione di un farmaco in Italia acquistato via Internet per uso personale.

La vicenda coinvolgeva un soggetto affetto da epatite C, infezione che negli ultimi anni ha visto emergere una terapia efficace a base di Ledipasvir (90 mg) e Sofosbuvir (400 mg), associati in un’unica compressa che in Italia ha un costo esosissimo pari a 44.000 Euro, fornita gratuitamente ai pazienti più gravi con costi a carico del SSN.

L’uomo era affetto da una forma non grave, pertanto avrebbe potuto accedere alla terapia solamente a partire dal 2017 e, per non attendere sino a tal punto, ha deciso di acquistare online il farmaco, distribuito dall’India, al costo di Euro 2.500, sequestrato all’aeroporto di Ciampino.

Il collegio romano si esprimeva a favore del dissequestro affermando che la contravvenzione alla base del provvedimento prevede la condotta di chi importa medicinali senza l’autorizzazione al fine di messa in commercio.

Pertanto l’importazione che costituisce reato è quella di chi abbia introdotto in Italia medicinali per farne successivo commercio, non anche quella di chi, come nel caso di specie, li abbia introdotti per farne esclusivo uso personale.

Il tribunale di Roma segnala l’assenza di giurisprudenza di legittimità e fa riferimento alle (poche) sentenze di merito che, sulla base delle direttive comunitarie in materia, ritengono sussistere rilevanza penale dell’importazione solo per i casi di commercializzazione dei prodotti, pertanto ai fini della vendita (Tribunale di Genova, 17.05.2010; Tribunale Bari, 30.01.2012).

La quantità limitata dei prodotti importati, congiuntamente all’accertata malattia dell’indagato e alla prescrizione medica prodotta, non posso far dubitare dell’uso esclusivamente personale.

Certo non mancano eccezioni sollevate dagli esperti del settore, con riferimento al medicinale in questione, come affermato dal presidente dell’Associazione EpaC onlus: è necessario considerare che l’importazione tramite prescrizione medica di un medicinale già registrato in Italia, non sarebbe comunque consentita.

Allora il discorso si sposta inevitabilmente sulla qualità e tipologia del farmaco acquistato, parametri da tenere necessariamente in considerazione.

Certamente qualora negli atti di indagine non sia specificato, ad esempio, il principio attivo di quanto in sequestro, gioverà pensare di richiedere una perizia tecnica al fine di asseverare le specificità del farmaco, ovvero di qualsiasi prodotto che sia effettivamente stato spedito all’acquirente (soprattutto nel caso che ispira questo contributo, avendo l’imputato una prescrizione medica; diverso sarebbe qualora vi siano meno certezze a sostegno della posizione del soggetto attivo).

Vero è che ai nostri fini la valutazione deve essere improntata al fine ultimo di tale condotta, ovvero la messa in commercio in assenza di uso esclusivamente personale.

Si segnala che la Procura di Milano sta procedendo ad una richiesta di archiviazione su larga scala con riferimento a queste notizie di reato: se le quantità importate sono elevate, le indagini proseguiranno, altrimenti sarà automatica l’archiviazione purché sia constatato l’uso personale.

La norma infatti prescrive che sia necessaria l’autorizzazione dell’A.I.F.A. ma tale autorizzazione non può essere richiesta da chiunque, poiché bisogna disporre di personale qualificato e mezzi tecnico-industriali. Non si può pensare che chi ordina un farmaco online possa anche solo in astratto munirsi di tale autorizzazione: la condotta richiesta sarebbe assolutamente inesigibile da un punto di vista giuridico.

Perché possa essere accertato l’uso esclusivamente personale, tuttavia, si richiede un acquisto di quantità “modeste”.

Il punto focale tuttavia sta nel fatto che nessuno ha mai specificato la soglia della modesta quantità nel caso in oggetto.

A sostegno del povero panorama giurisprudenziale giungeva nel 2017 un chiarimento dell’allora Ministro della Salute Lorenzin, che emanava una circolare (GAB 003261-P-23/03/2017) nella quale affermava che non può sussistere una valida alternativa terapeutica per il paziente italiano, quando il farmaco autorizzato in Italia non è effettivamente accessibile a tutti, in quanto troppo costoso.

Pertanto il parametro del costo economico del farmaco deve essere necessariamente incluso nelle valutazioni sulla rilevanza penale del fatto.

In effetti sono diversi i procedimenti penali in corso a seguito delle denunce da parte degli uffici doganali che sequestrano i pacchi destinati agli acquirenti online.

Si potrebbe obiettare che la normativa sanziona la mancanza di autorizzazione a monte dell’importazione, la mancanza di strumenti atti a controllare il prodotto, ma certamente non si potrà considerare illecita l’importazione di medicinali provenienti da farmacie aventi sede in UE.

L’interpretazione della normativa è tuttavia, allo stato, molto restrittiva.

 

  1. Il caso di specie

 Nel caso sottoposto alla mia attenzione un medico riceveva la notifica di un decreto penale di condanna per la violazione del secondo comma dell’art. 147, con conseguente condanna al pagamento di un’ammenda e applicazione della sospensione condizionale della pena.

In particolare il soggetto in questione aveva effettuato, più di tre anni prima, un ordine online presso una farmacia c.d. canadese, come anticipato in premessa, “fidandosi” delle rassicurazioni che i siti in questione pubblicano, con tanto di bollini per assicurare i pagamenti e le indicazioni certified by Visa.

A tutti gli effetti, l’impressione non è quella di trovarsi nell’illegalità.

Tuttavia, le operazioni conducono alla spedizione del medicinale dall’India (paese quindi extra-UE) che allerta immediatamente la polizia di frontiera aeroportuale la quale, valutato il quantitativo (più di 300 pastiglie) presente all’interno della spedizione, decide di sottoporre a sequestro la stessa e comunicare la notizia di reato alla Procura competente.

Preliminarmente va considerato e sottolineato che il soggetto in questione aveva acquistato un farmaco, con il medesimo principio attivo di quello venduto in Italia, necessario e consigliato dal proprio medico specialista in virtù della patologia dell’indagato. L’indagato era infatti a conoscenza del principio attivo del farmaco acquistato in quanto reso edotto dal proprio medico specialista.

La scelta di effettuare l’acquisto online era dovuta unicamente a questioni economiche: il rapporto tra il prodotto venduto in Italia (circa 90 Euro per il fabbisogno di 15 giorni) e quello acquistato online (circa 130 Euro per il fabbisogno annuale) è a dir poco impari.

Le principali questioni pertanto attengono al quantitativo e al conseguente uso personale.

Altra questione attiene al fatto che durante le indagini la P.G. non ha identificato il principio attivo del farmaco sequestrato, pertanto l’indagato non sa nemmeno cosa gli sia stato spedito: potrebbe essere un prodotto non vietato, potrebbe non essere neanche un farmaco.

Un’ulteriore considerazione attiene altresì alla qualità del farmaco, che contiene il medesimo principio attivo di quello venduto (a caro prezzo) in Italia, con riferimento alla possibile equiparazione dei c.d. farmaci equivalenti.

Infine si consideri la necessità di effettuare una perizia sul farmaco in questione, essendo incerta addirittura la sua composizione chimica in base agli atti di indagine.

Certamente l’obiettivo della Procura era quello di dimostrare la messa in commercio del farmaco importato, ma dagli atti di indagine tale obiettivo non era di così facile realizzazione.

 

Il Giudice del Tribunale di Forlì, con sentenza n. 84 / 2021, assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste.

In particolare l’imputato, che si era sottoposto ad esame, aveva pacificamente ammesso ogni fatto contestato, ma sostenendo che la propria patologia ed i costi esorbitanti del farmaco a lui prescritto da un medico specialista, potessero ampiamente escludere il pericolo della messa in commercio.

Ed infatti il Giudice indicava che non sia stata dimostrata l’intenzionalità commerciale dell’acquisto del prodotto e dell’introduzione delle pastiglie sul territorio italiano, non potendosi elevare il mero dato numerico ad elemento costitutivo del reato.

 Anche tale aspetto diventa importante, ovvero l’esclusione dell’automatica rilevanza penale dell’acquisto di un numero elevato di pastiglie, in presenza di ulteriori condizioni quali una patologia, una prescrizione medica ed il costo da sostenere.

In particolare, la quantità non modica del farmaco acquistato risulta essere spesso indice di notizia di reato, mentre in questo caso viene sostanzialmente compressa la sua importanza, ma nella complessiva valutazione del caso concreto.

 

Tale pronuncia si inserisce in un panorama giurisprudenziale particolarmente scarno e povero, nonostante l’estrema diffusione del reato in oggetto.

 

  1. Conclusioni

 Certamente il divieto in oggetto a parere di chi scrive si presenta come anacronistico, a maggior ragione se si considerano le differenti normative all’interno dell’UE.

Le valutazioni del caso preso ad esempio in questo contributo, in assenza di parametri giurisprudenziali granitici e consolidati, certamente devono tenere conto di tutti i parametri citati: definizione di quantitativo modesto, uso esclusivamente personale, condizione clinica/patologica dell’imputato, costo economico del farmaco “equivalente” venduto in Italia rispetto a quello acquistato, principio attivo non analizzato in sede di indagini ed incertezza sul contenuto del prodotto sequestrato, liceità del principio attivo del farmaco equivalente ed altresì la valutazione di liceità della pagina di e-commerce in sede di acquisto.

Se gli spunti difensivi indicati non dovessero essere sufficienti, certamente si ritiene opportuno indicare, oltre a testimoni specialisti (medici o esperti farmacisti), anche una perizia che vada a fondo della problematica.

Tutto ciò augurandosi che la Giurisprudenza di legittimità possa intervenire, a definizione delle problematiche interpretative ed operative sempre più presenti in siffatte fattispecie.

Naturalmente anche un intervento legislativo sarebbe auspicabile.

 

Avv. Filippo Antonelli