TAR per l’Emilia Romagna – ordinanza cautelare n. 408/2023

Ritenuto ad un sommario esame di poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che le ragioni del diniego impugnato appaiono riconducibili unicamente a fatti imputabili alla volontà di terzi e non dell’odierno ricorrente, il quale ha invece fornito elementi per poter ambire alla conversione del titolo di soggiorno per lavoro subordinato, con doverosa rivalutazione da parte della Prefettura.

In questa pronuncia cautelare il TAR di Bologna si esprimeva in senso favorevole al ricorrente straniero, in una vicenda particolarmente interessante.

Lo straniero era titolare di un regolare visto per tirocinio e, prima della scadenza, chiedeva la conversione dello stesso in permesso per lavoro subordinato, allegando proposta di contratto da parte di un datore di lavoro che, secondo la PA nel preavviso di rigetto ex art. 10bis L. 241/90, sarebbe stato oggetto di plurime irregolarità.

A disposizione della difesa vi erano alcune sanzioni amministrative, regolarmente pagate ed estinte, che venivano pertanto allegate chiedendo il riesame della domanda. Non solo, ma si allegava anche una proposta di altro datore di lavoro e si chiedeva, in estremo subordine, permesso per attesa occupazione.

Dopo 5 mesi, in assenza di riscontri tranne che per la conferma del parere negativo sul datore di lavoro (mai documentato, ad ogni modo, dalla PA), la difesa si metteva in contatto telefonico con la PA ed apprendeva, clamorosamente, che “a portale” era già stato caricato un rifiuto della domanda (ad Aprile!) mai comunicato o notificato allo straniero e, peraltro, nemmeno firmato digitalmente.

La PA sosteneva che nulla di più fosse dovuto, ritenendo chiusa la questione.

Nel depositare ricorso al TAR, la difesa – composta dal sottoscritto e dall’avv. Francesco Roppo di Forlì – chiedeva di essere restituita nei termini, posta la evidente negligenza della Prefettura (violazione dell’art. 3 co. 3 Regolamento attuativo al TUI) nonché la incolpevole condotta dello straniero che non veniva posto in condizione di difendersi.

Nel merito, si sosteneva altresì la totale assenza di valutazione delle richieste subordinate (altro datore di lavoro disponibile o, in estremo subordine, un permesso per attesa occupazione come previsto dalla Circolare Ministero dell’Interno del 20.08.2007) e, sempre, la incolpevole condizione dello straniero che per fatti non imputabili al medesimo si trovava costretto in una condizione di estrema vulnerabilità.

Il TAR accoglieva, come indicato in premessa, la domanda cautelare avanzata in via incidentale per tutelare la presenza sul territorio dello straniero e ordinava alla Prefettura un riesame della posizione, alla luce di quanto esposto.

In attesa dell’udienza nel merito, vedremo il comportamento della Pubblica Amministrazione.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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Tribunale di Bologna ordinanza 07.09.2023

La valutazione delle circostanze relative all’integrazione sociale, lavorativa e alla tutela della vita privata del ricorrente alla luce dell’art. 8 C.E.D.U. non può essere pretermessa sulla scorta della novella normativa di cui al d.l. 20 del 2023 che ha inciso, abrogandolo, sulla seconda parte del comma 1.1 dell’art. 19 del d.lgs n. 286/98 …  dal momento che permane il dovere di valutare il rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali, tra i quali va annoverato quello assunto dall’Italia con la sottoscrizione della CEDU.

 

Così si esprimeva il Tribunale di Bologna in un decreto di accoglimento dell’istanza di sospensione avanzata dal sottoscritto nell’ambito di una procedura di protezione internazionale, all’interno della quale veniva espressamente richiesta protezione della vita privata e, quindi, la protezione speciale residuale di cui all’art. 32 co. 3 D.Lgs. 25/08.

 

Sulla scorta delle importanti pronunce, pur se cautelari, dei Tribunali a seguito dell’entrata in vigore della riforma operata dal d.l. 20 del 2023, sembra potersi auspicare un futuro meno incerto per i diritti degli stranieri.

In attesa dei provvedimenti conclusivi dei giudizi, per ora si tira un bel sospiro di sollievo.

 

avv. Filippo Antonelli

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Il 29.06.2023 il Collegio Penale del Tribunale di Forlì depositava le motivazioni alla base delle ampie assoluzioni con riferimento alla nota vicenda delle vendite piramidali: le dichiarazioni di un coimputato, che originavano diverse inchieste in tutta la regione, sono state valutate inattendibili e prive di riscontri, rispetto al paradigma normativo e giurisprudenziale della fattispecie associativa.

Con la sentenza n. 418 del 13.04.2023 (dep. 29.06.2023) il Tribunale di Forlì motivava le numerose ed ampie assoluzioni già oggetto delle cronache locali (Fonte: Corriere Romagna).

Per dovere e correttezza l’analisi che segue riguarda l’imputato assistito dal mio Studio che doveva difendersi da accuse molto pesanti, in particolare dall’essere ritenuto (soprattutto a seguito delle parole di uno dei coimputati, per evitare pesanti condanne in aggiunta a quelle già presenti nel proprio casellario…) consulente ed esecutore delle direttive principali del dominus nonché partecipe dei meccanismi fraudolenti posti in essere ai fini della cessione di beni e servizi di una società che, sempre secondo l’Accusa, sarebbe stata prova dell’esistenza di una struttura a sostegno dell’associazione.

L’accusa era particolarmente ambiziosa e contestava a tredici dei diciassette imputati il vincolo associativo di cui all’art. 416 c.p., nei seguenti termini: perché si associavano tra loro con ruoli e mansioni diverse e predefinite, allo scopo di commettere più delitti di truffa, sostituzione di persona, ed estorsione, fra i quali quelli di seguito indicati (oltre a quelli oggetto di altri procedimenti penali…), in particolare perché attraverso l’uso della società W***  e della finanziaria K**** (intermediaria per conto della Banca…) mediante un sistema assimilabile a quello delle vendite piramidali, reclutavano personale e ponevano in essere una collaudata attività delittuosa, consistente nella accensione di contratti di finanziamento all’insaputa dei beneficiari e/o mediante l’utilizzo di falsi documenti di identità e falsa documentazione reddituale, finalizzati all’acquisto di beni venduti dalla predetta concessionaria anche mediante ricorso a forme di intimidazione e minaccia, svolgendo in concreto le seguenti funzioni: …

In ottica difensiva era opportuno evidenziare al Collegio giudicante che il coimputato mio Assistito non era mai stato direttamente chiamato in causa, nulla veniva dimostrato rispetto al suo coinvolgimento nei fatti se non una breve parentesi lavorativa alle dipendenze di un altro coimputato, solo parzialmente coinvolto nella società madre che, secondo la prospettazione dell’Accusa, avrebbe dato la struttura all’associazione criminosa.

Si producevano, pertanto, documenti attestanti l’impiego professionale e certificazioni reddituali attestanti quanto sopra, peraltro approfondendo le generiche note della P.G. agli atti.

L’unico vero elemento a carico del mio Assistito erano le parole di un coimputato, che in evidente ottica premiale si era messo a disposizione della Procura (non solo di Forlì), in quanto arrestato in flagranza per alcune ipotesi delittuose collegate a quelle oggetto di procedimento, rispetto alle quali il mio Assistito era stato invece assolto con formula piena. L’esame del coimputato dimostrava pertanto unicamente un intento vendicativo, non sorretto da lucidi argomenti di prova.

Con riferimento, pertanto, all’ipotesi associativa il mio Assistito risultava del tutto estraneo e, soprattutto, mai nemmeno menzionato dai testimoni né tantomeno da coloro che venivano considerati i vertici della piramide associativa.

La difesa decideva, pertanto, di evidenziare al Collegio che la stessa Giurisprudenza citata dall’Accusa (Cass. Pen. sez. VI n. 43656/2010), sosteneva che ai fini della configurabilità dell’art. 416 c.p. è necessario dare dimostrazione della stabilità di un accordo tra le persone e della condivisione dei consociati di un modulo operativo, inoltre (Cass. Pen. sez. II n. 5424/2010), l’associato deve dare attuazione plurima ai reati fine del sodalizio.

Sostanzialmente: certo che il contributo ai fini della configurazione della fattispecie va apprezzato a prescindere dal ruolo ricoperto dal consociato, ma un ruolo deve pure esserci.

L’unico elemento a carico, lo si ripete, erano le scarsamente attendibili dichiarazioni di un coimputato che dimostrava grande rancore nei confronti del mio Assistito e di altri imputati, per vicende personali più o meno collegate. Con riferimento a tale aspetto il Collegio forlivese si esprimeva in questo modo: le dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal coimputato D., coinvolto in prima persona in alcune truffe da lui attuate ai danni di ignari clienti (v. capo 2), che attribuiscono al P. il ruolo di ideatore del sistema truffaldino qui contestato, restano prive di seri e affidabili elementi di riscontro.

Ed ancora: l’unico elemento a carico, proveniente dalle propalazioni accusatorie di D. che indica P. come il suo capo e referente all’interno della struttura organizzativa di W., sconta notevoli limiti di attendibilità sia per la mancanza di riscontri sia per i toni particolarmente rancorosi da questi utilizzati nei confronti del P.

L’Accusa non provava in alcun modo, nemmeno per via testimoniale, il coinvolgimento del mio Assistito nel reato-scopo di cui capo 15) d’imputazione, ovvero la sostituzione di persona ai fini di ottenere finanziamenti da parte di istituti di credito, mandando assolto per particolare tenuità del fatto solo uno dei coimputati, che aveva invece materialmente sottoscritto un contratto attestando false qualità personali con riferimento esclusivo alla propria persona.

Ed allora si evidenziava un’ulteriore indicazione della Suprema Corte (Cass. Pen. n. 52005/2016), secondo la quale il ruolo ricoperto potrà essere anche limitato, ma deve essere in ogni caso strumentale ad un vantaggio o profitto personale che, nel nostro caso, il mio Assistito non traeva in alcun modo.

Così il Collegio riteneva che nella vicenda in oggetto difettasse, in toto, l’elemento costitutivo del reato associativo contestato, per tutti gli imputati. Ciò in quanto l’associazione a delinquere presuppone l’esistenza di un’organizzazione di carattere stabile preordinata alla realizzazione dei delitti concretamente programmati; nel caso di specie dall’istruttoria dibattimentale non sono emersi aspetti connotati da illiceità tali da poter ritenere che la stessa (società) fungesse da ossatura dell’associazione a delinquere … altro aspetto da sottolineare è la mancanza di riscontri in merito alla ricorrenza di una dipendenza intersoggettiva tra i componenti dell’associazione che, secondo la tesi dell’accusa, operavano illecitamente realizzando i reati-scopo in attuazione delle direttive impartite dal P.

Sempre secondo il Tribunale di Forlì, l’insegnamento della Suprema Corte (Cass. Pen. n. 11782 del 18.01.2023) è per l’esclusione della fattispecie in oggetto qualora manchi del tutto la prova di un collegamento tra reati-scopo e direttive dei responsabili dell’organizzazione: difetta inoltre la prova di un chiaro e predefinito accordo tra gli imputati per finalità illecite, l’elaborazione di un programma criminoso e di una strategia comune. Inoltre, il requisito (Cass. Pen. sez. II n. 16339 del 2013) della stabilità del vincolo associativo appare nel caso di specie mancare laddove si evidenzia che non tutti ma solo alcuni dei collaboratori si sono resi responsabili di condotte illecite sfruttando la posizione ricoperta nell’organizzazione societaria e lavorando per l’azienda solo per un tempo limitato (anche pochi mesi).

Alla luce delle suesposte considerazioni, difettando dunque gli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di associazione a delinquere di cui al capo 1), si deve addivenire ad una pronuncia di assoluzione per tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.

Inutile sottolineare la particolare soddisfazione nel vedere accolta una tesi difensiva che, ancorata sui principi normativi e giurisprudenziali, ha consentito al proprio Assistito di uscire indenne da una pericolosissima vicenda processuale di rilevanza mediatica, collegata ad una ulteriore e seria vicenda che, nel prossimo futuro, dovrà necessariamente tenere conto della valutazione di cui alla sentenza in commento.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

Tribunale di Bologna ordinanza 11.06.2023

Il tribunale di Bologna su una questione molto complessa relativa alla cd. procedura accelerata e rispetto dei termini, dispone la sospensione del provvedimento impugnato di rigetto della domanda di asilo per manifesta infondatezza (con il diritto del richiedente asilo alla titolarità, e al rinnovo semestrale, del permesso di soggiorno provvisorio conseguente alla proposizione della domanda di asilo) e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione.

La Commissione aveva rigettato la richiesta di asilo del richiedente tunisino per manifesta infondatezza “ai sensi dell’art. 28 ter, primo comma lettera b), D.Lvo n. 25/2008 in ragione del fatto che il ricorrente proviene da Paese designato di origine sicuro ai sensi dell’art. 2 bis del medesimo D.Lvo n. 25/2008; il ricorrente ha eccepito al riguardo che ai sensi dell’art. 35 bis, terzo comma lettera d), D.Lvo n. 25/2008 il provvedimento impugnato in questi casi debba intendersi a suo avviso automaticamente sospeso, atteso che il provvedimento della Commissione, emesso in data 4 aprile 2023, non avrebbe seguito una corretta procedura accelerata (nel ricorso si legge che «il provvedimento impugnato è da considerarsi automaticamente sospeso nonostante la dicitura per “manifesta infondatezza” indicata nel medesimo. La procedura di cui all’art. 28 bis D.Lgs. 25/08 richiede infatti il corrispondente rispetto delle tempistiche anche da parte della P.A. che, nel caso di specie evidentemente non rispettava le forme della procedura che sceglieva di adottare solamente ex post», richiamando anche giurisprudenza in tal senso di questo Tribunale: decreti del 15 settembre 2022 e 6 ottobre 2022)”.

(…)

Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione viene disposto in base al seguente quesito:
se in caso di soggetto proveniente da paese di origine sicuro, il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter, D.Lvo. n. 25/2008 emesso dalla Commissione territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale senza previa adozione di una regolare procedura accelerata di cui agli artt. 28 e. 28 bis D.Lvo. n. 25/2008, determinata con provvedimento del
presidente in seguito a esame preliminare, tempestivamente comunicato dalla Commissione al richiedente asilo, e con rispetto dei termini prescritti dall’art. 28 bis D.Lvo. n. 25/2008, dia luogo o meno a sospensione automatica ai sensi dell’art. 35 bis, terzo comma D.Lvo. n. 25/2008
“.

 

Si ringrazia MeltingPot per la condivisione.

 

avv. Filippo Antonelli

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TRIBUNALE DI MATERA- COLLEGIO – SENTENZA 55/2023

Una mia Assistita, cittadina cinese, veniva tratta a processo con un’accusa pesante avanti al Tribunale di Matera con sentenza 55 2023

L’accusa sosteneva che la cittadina cinese, affittuaria di un locale per massaggi nel centro di Matera, avrebbe sostanzialmente favorito e tollerato, in maniera abituale, l’esercizio illegittimo dell’attività nascosta di prostituzione in tale esercizio commerciale, asseritamente commesso da una connazionale nemmeno imputata, sulla base di pochissimi riscontri probatori.

La difesa si è fondata principalmente sui seguenti profili:

  • la ditta recante ragione sociale riconducibile all’odierna imputata, sarebbe stata “attiva” solamente per pochi mesi, tuttavia essa nasceva già inattiva;
  • l’unico teste-cliente, sentito in dibattimento, non sapeva riferire l’ammontare di un corrispettivo in denaro, non ricordava quasi nemmeno l’accaduto, a conferma dell’unicità dell’avvenimento. A precisa domanda della difesa, se egli conoscesse o avesse mai visto (anche in loco) l’imputata, egli rispondeva: No, assolutamente no. […] Non so chi sia. ;
  • Dalla documentazione agli atti del fascicolo del P.M. emergeva unicamente un mutamento della ragione sociale della presunta ditta, peraltro immediatamente cancellata ed inattiva sin dalla nascita, lo svolgimento di attività di pulizie, il pagamento della TARI da parte dell’imputata nonché, in un’unica occasione, la consumazione di un rapporto orale con una persona non meglio identificata o identificabile, verosimilmente ricondotta ad una cittadina cinese, coniugata con cittadino italiano e nemmeno imputata nel procedimento.

Si citava altresì Giurisprudenza pacifica, che ritiene (Cass. Pen. n. 8037, sez. 3, 16.02.2012; cfr. sez. 3 n. 701/1997) che la relazione tra la fattispecie in oggetto ed il luogo (in quel caso un albergo) debba essere specifica, stabile e strumentale, non certamente occasionale, posto che il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione commesso dal titolare di un esercizio … non esige la continuità della condotta, ma implica la sola reiterazione, per un tempo apprezzabile, del comportamento permissivo del gestore, idoneo a consentire che le persone alloggianti … svolgano attività di prostituzione (Cass. Sez. 3 n. 35384/2007).

Sempre la Suprema Corte (Cass. Pen., sez. 3, n. 7076/2012) sostiene che per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nella L. 20 febbraio 1958 n. 75 art. 3 nn. 1 e 2 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, è necessario il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all’interno dello stesso locale, l’esistenza di una sia pur minima forma di organizzazione, con la conseguenza che (sez. 3 n. 23657/2004) addirittura non integrerebbe il reato concedere in locazione un appartamento all’interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna.

Pertanto la difesa sosteneva che secondo l’impostazione giurisprudenziale indicata, poiché l’evento in oggetto dovrebbe essere l’aiuto alla prostituzione (e non la prostituzione), esuli il reato laddove la condotta non abbia cagionato alcun effettivo ausilio per il meretricio, a maggior ragione considerando le uniche, isolate e confuse dichiarazioni di un unico teste e l’assenza di riscontri circa l’imputata.

 

Il Collegio pronunciava sentenza n. 55/2023 con la quale sostanzialmente aderiva all’impostazione proposta dalla difesa.

In particolare veniva sottolineato, ulteriormente, che nonostante la Pubblica Accusa producesse il contratto di locazione concluso dall’imputata, la quale “non poteva non sapere”, il canone previsto era più che congruo per l’attività di massaggi indicata (Euro 1.200,00) nella zona centrale della città, rispetto all’immobile commerciale locato: non vi era pertanto alcun canone di locazione maggiorato rispetto al prezzo di mercato.

Ulteriormente il Collegio si esprimeva con apprezzabili resoconti giurisprudenziali, dando atto che, ai fini della configurazione del reato, risulta necessario che la condotta sia idonea a procurare più facili condizioni per l’attività di meretricio con la consapevolezza di facilitare l’altrui attività di prostituzione (cfr. Cass. Pen. sez. III n. 15502/2019), così come lo sfruttamento consiste in una consapevole partecipazione ai proventi dell’attività di prostituzione (Cass. Pen. sez. III n. 741/2019) e richiede una posizione di terzietà rispetto alla prostituta ed al cliente dell’autore del reato.

Pertanto non è possibile condannare l’imputata in assenza di qualsiasi riscontro, tra i numerosi soggetti sentiti a sommarie informazioni, circa il ruolo effettivamente organizzativo e non anche di persona impegnata nell’attività, risultando solo un canone di locazione a suo carico.

Altro elemento fondamentale è la c.d. abitualità della tolleranza rispetto alla fattispecie di favoreggiamento generica dell’art. 3 n. 8 L. 75/1958, pure contestata all’imputata, ciò in quanto difetta totalmente la prova di un comportamento permissivo e reiterato da parte del gestore.

In difetto di tutti questi elementi che caratterizzano il reato in oggetto, l’imputata è stata assolta perché il fatto non sussiste.

 

avv. Filippo Antonelli

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Vendite piramidali: condanne miti e senza associazione a delinquere per il caso di Cesena

 

In attesa della pubblicazione delle motivazioni, condivido un importante risultato conseguito che dimostra l’inesistenza dell’associazione a delinquere e l’estraneità della posizione del mio Assistito mandato assolto da ogni accusa.

Fonte: Corriere Romagna

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

Idoneità alloggiativa non indispensabile ai fini della domanda di emersione dello straniero, se non in fase di stipula del contratto di soggiorno.

La pronuncia del TAR per l’Emilia Romagna (Bologna): Sentenza n. 56/2023 del 25.01.2023.

di avv. Filippo Antonelli

 

La vicenda si inserisce quale epilogo di un caso già trattato, di richiesta di annullamento di un diniego della procedura di emersione (co. 1), che il Consiglio di Stato (nell’ordinanza sopra indicata) sospendeva in via cautelare, rimandando al TAR per la discussione nel merito.

Le richieste presentate al TAR muovevano da un dato normativo inoppugnabile, ai sensi della previsione dell’art. 103 co. I D.L. 34/2020, circa la costituzione di un nuovo contratto di lavoro subordinato.

Alla luce della presenza di tutta la documentazione richiesta, veniva preliminarmente evidenziato che il ritardo era unicamente dovuto alla richiesta di una idoneità alloggiativa da produrre entro 10 giorni, a fronte del ritardo di oltre un anno da parte dell’Amministrazione per riscontrare la domanda di emersione. D’altronde la normativa non prevede, quale condizione ostativa all’accoglimento dell’istanza, l’attestazione di idoneità alloggiativa; solo quest’ultima non era nella disponibilità dei ricorrenti al momento della richiesta da parte della Prefettura ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90.

Ulteriormente si esprimevano dubbi sul fatto che la P.A. non ravvisasse alcun interesse pubblico ad accogliere una domanda completa di ogni requisito e condizione normativa, anche in virtù del fatto che l’idoneità alloggiativa non è prevista come requisito per il perfezionamento della procedura emersiva, né dall’art. 103 D.L. 34/2020 né dal Decreto interministeriale del 27 maggio 2020. Ciò è parso coerente con il fatto che il beneficiario della procedura è un cittadino straniero già presente sul territorio e con la ratio dell’emersione che è quella di garantire un soggiorno legale nel Paese a quanti più lavoratori irregolari possibile, indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Successivamente le circolari e gli Sportelli Unici hanno iniziato a richiedere, quantomeno, la prova dell’invio della relativa domanda al Comune, che tuttavia presuppone comunque il reperimento di un alloggio che sia, di per sé, idoneo a tal fine, prima di attivare i tecnici comunali per ottenere la certificazione.

La presenza o meno di tale documentazione (in origine peraltro non richiesta dalle Prefetture se non in sede di convocazione, poi rappresentata quale condizione essenziale) era l’unica causa del ritardo nella (ri) allegazione documentale comunque adempiuta, connessa peraltro a dinamiche non in esclusivo controllo degli stessi.

L’allegazione di tale documento, prima della convocazione ai fini della stipula del contratto di soggiorno, non poteva costituire causa ostativa all’accoglimento della domanda.

Le ragioni per le quali tale requisito è inserito tra quelli richiesti ai fini dell’accoglimento non tengono assolutamente conto dei cambi di domicilio e residenza e di tutte le problematiche connesse alle condizioni abitative dello straniero.

Peraltro nella maggior parte dei rapporti di lavoro stipulati senza convivenza con il datore di lavoro, la legittimazione a richiedere l’idoneità alloggiativa sull’immobile abitato dal lavoratore non appartiene a nessuno dei due: il datore di lavoro non può richiederla perché si parla di un immobile estraneo alla sua disponibilità giuridica, il lavoratore in quanto ancora privo del permesso di soggiorno.

Il contratto di soggiorno è un istituto relativo alla conclusione dei primi rapporti di lavoro con i cittadini extracomunitari introdotto dall’art. 5 bis TUI, che presuppone un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ma tale requisito veniva richiesto solo in sede di convocazione e, poi, di stipula.

La posizione del TAR e l’appello cautelare

Il Collegio emiliano rigettava la richiesta cautelare, così motivando la propria ordinanza:

Ritenuto, ad un sommario esame, di non poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che alla data di emanazione dell’atto impugnato parte ricorrente non ha fornito tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento di emersione; Considerata la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite della presente fase cautelare P.Q.M.
respinge la suindicata domanda cautelare. Spese compensate.

Ritenendo che vi fossero spiragli, quantomeno giurisprudenziali, relativi alla valorizzazione dei concetti sopra argomentati, si procedeva con l’appello cautelare presso il Consiglio di Stato.

La Giurisprudenza posta all’attenzione del Consiglio di Stato era infatti conforme all’interpretazione dei sottoscritti, anche rispetto alla carenza di istruttoria e motivazione in casi simili (TAR Ancona n. 264/2021): la circolare ministeriale del 30 maggio 2020 prevede che, laddove la documentazione presentata dal richiedente sia carente, lo Sportello Unico per l’Immigrazione inviti l’interessato ad integrarla e fissi la data del nuovo appuntamento … tenuto conto degli allegati all’istanza di autotutela.

Solo a seguito della permanenza di tale carenza nel nuovo appuntamento (mai concesso in questo caso) si potrà procedere al rigetto.

Non solo.

La sez. III del Consiglio di Stato, in data 22.04.2022 (ordinanza n. 1896) si esprimeva in via cautelare sull’evidente gravità del pregiudizio che è suscettibile di derivare per la parte appellante dal provvedimento impugnato in primo grado, rispetto ad una certificazione alloggiativa, in quel caso, addirittura falsa.

Nel nostro caso vi era un mero ritardo nella presentazione, per i motivi indicati. Anche lo stesso TAR Emilia-Romagna, in altra ordinanza cautelare del 26.01.2022 n. 69, si esprimeva in modo del tutto opposto: in ragione della straordinarietà di tale procedura, occorre attribuire rilevanza alla documentazione a tale fine comunque acquisita sicché appare opportuno che l’amministrazione proceda a motivato riesame delle proprie determinazioni alla luce della richiesta di idoneità alloggiativa…e della complessiva documentazione in atti e trasmessa all’ufficio.

Così ancora il TAR Campania (Salerno, ordinanza n. 178 del 28.04.2022)circa la persistenza del pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso, connesso al concreto rischio di espulsione … considerato che merita di essere approfondita, in sede di merito, la questione concernente l’intervenuta, ancorché tardiva produzione, da parte dell’interessata del prescritto certificato di idoneità alloggiativa.

Ancora più interessante l’ordinanza n. 297 del 05.05.2022 del TAR Toscana, che accoglieva l’istanza cautelare ritenendo opportuno un riesame complessivo dell’istanza di emersione da parte della Prefettura consentendo alla ricorrente di integrarla anche con il deposito della richiesta di idoneità alloggiativa agli organi competenti.

A fronte dei numerosi approfondimenti giurisprudenziali e degli argomenti addotti, il Consiglio di Stato si esprimeva in senso favorevole alle richieste dei ricorrenti. L’ordinanza cautelare (allegata) ritiene infatti controversa la legittimità del decreto che ha respinto l’istanza volta alla emersione del ricorrente dal lavoro irregolare a cagione della mancata produzione, nel termine assegnato di 10 gg, di tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento.

L’ordinanza si spingeva oltre e, quasi entrando nel merito, indicava che appaiono

plausibili le circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione del ritardo accumulato nel reperire la parte di documenti mancati, mentre è meritevole di essere approfondito l’ulteriore tema della necessità del certificato di idoneità alloggiativa.

Il Consiglio di Stato compensava le spese di grado e trasmetteva al TAR Emilia- Romagna l’ordinanza che accoglieva l’istanza cautelare di primo grado, per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.

La decisione nel merito: sentenza n. 56/2023 TAR per l’Emilia Romagna.

La vicenda si concludeva, finalmente, con la pronuncia del Collegio Emiliano che, recependo l’insegnamento della Giurisprudenza del Consiglio di Stato e di altri TAR, riconosceva – dopo quasi 3 anni – l’agognato titolo di soggiorno al lavoratore che chiedeva l’emersione.

Considerata la chiarezza espositiva nella motivazione resa dal TAR, si riportano testualmente alcuni passaggi in diritto:

Il ricorso è fondato e va accolto.

Giova premettere in punto di fatto che parte ricorrente con l’istanza presentata in via telematica del 23 luglio 2020 aveva già presentato gran parte delle informazioni e della documentazione richiesta se si eccettua proprio l’idoneità alloggiativa, secondo la Prefettura requisito indispensabile per accedere alla procedura di emersione dal lavoro irregolare, richiamandosi al disposti di cui all’art. 5 bis del Testo unico immigrazione.

Non ritiene il Collegio di poter condividere l’assunto dell’Amministrazione.

Se infatti l’idoneità alloggiativa è pacificamente richiesta per il rinnovo del permesso di soggiorno … non altrettanto è invero previsto nell’ambito della procedura di emersione di cui al citato art 103 comma 1 del D.L. n. 34/2020.

Infatti a ben vedere né l’art 103 della norma primaria né la disciplina secondaria attuativa di cui al D.M. del 27 maggio 2020 prescrivono tale requisito, nell’ambito di una procedura con funzione sanante (ex plurimis Cassazione Civile sez. I, 13 settembre 2022, n. 26863) i cui requisiti e presupposti rispondo al principio di tassatività e nominatività.

Ne consegue che l’idoneità alloggiativa ben può essere dimostrata ex post in sede di convocazione per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, come ampiamente argomentato dalla difesa di parte ricorrente, rispondendo ciò pienamente alla “ratio” dell’emersione di garantire un soggiorno legale agli stranieri “meritevoli” già presenti nel territorio italiano in data antecedente l’8 marzo 2020 e da impiegare nelle attività lavorative indicate dalla legge indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Erra dunque l’Amministrazione a voler equiparare la fattispecie di cui all’art. 5 bis TUI in tema di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato alla procedura di emersione di cui all’art. 103 c. 1 D.L. 34/2020, come detto avente funzione sanante e speciale.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

TRIBUNALE DI RAVENNA – UFFICIO GIP – SENTENZA 681/2021

A seguito del clamore suscitato dalla recente Cassazione Penale (terza sez.) sentenza n. 38855/2022, depositata il 14 ottobre 2022, mi è tornato alla mente un processo che ho seguito l’anno scorso, su tematiche alquanto simili.

Si trattava di un uomo che bighellonava nella Pineta di una località marittima, nel mese di Aprile del 2021 e quindi in pieno lockdown, il quale vedeva correre una ragazza e si approcciava in modo osceno toccandosi e mostrando il proprio organo sessuale; proferendo alcune allusioni, appunto, vergognose. Egli tuttavia si manteneva ad una distanza considerevole dalla donna che, non incontrando nessuno nelle vicinanze, giustamente turbata, correva sino ad imbattersi in una pattuglia dei Carabinieri che, successivamente, trovavano l’uomo e lo arrestavano con l’accusa di tentata violenza sessuale.

LA DIRETTISSIMA E LA SCELTA PROCESSUALE

Prima del procedimento per direttissima, l’imputazione era molto grave per cui l’imputato era sottoposto anche alla misura cautelare della custodia in carcere.

Egli era gravato da precedenti specifici (atti osceni – art. 527 c.p.) e, grazie anche ad un’attenta riflessione del GIP, riuscimmo a riqualificare il fatto in oggetto nel delitto di cui all’art. 527 co. 2 c.p., ravvisando anche in questo caso una ricaduta (definita dallo stesso imputato come: il suo demone), rispetto alla fattispecie di atti osceni in luogo pubblico abitualmente frequentato da minori con pericolo che questi vi assistessero.

Il GIP pertanto revocava anche la misura custodiale, assegnando la misura dell’obbligo di presentazione alla P.G. per l’imputato, tornato libero con obblighi.

Una volta restituiti gli atti al P.M., questi chiedeva il giudizio immediato e la difesa optava per la scelta del rito abbreviato, al fine di definire il procedimento allo stato degli atti.

 

REATO DI PERICOLO CONCRETO E LUOGO ABITUALMENTE FREQUENTATO DA MINORI

La sopra citata sentenza della Corte di Cassazione riporta, di fatto, un ragionamento che è stato ampiamente ribadito già dalla Giurisprudenza di Merito, tra cui il Tribunale di Ravenna nella sentenza allegata.

La Suprema Corte (sentenza n. 38855/2022) ha stabilito che si tratta di reato – di “pericolo concreto” – non necessariamente solo quando dei minori assistano agli atti osceni, ma è fondamentale che, con giudizio prognostico ex ante, sia prevedibile la presenza di minori in tale luogo, perché abituati a frequentarlo o perché soliti trovarsi nello stesso.

Luoghi abitualmente frequentati da minori sono tutti i luoghi dove ordinariamente si svolge la socialità dei minori, quelli specificamente destinati alla frequentazione dei minori (gli asili, le scuole, i parchi ricreativi, centri sportivi e simili), in quanto immediatamente riconoscibili come tali.

Ma d’altronde, tale ragionamento era esattamente quello svolto, sulla scorta della Giurisprudenza di Legittimità già esistente, dallo stesso Tribunale di Ravenna nel 2021.

In particolare ci si è interrogati se la condotta dell’imputato sia riconducibile all’ipotesi – aggravata, ora autonoma fattispecie a seguito della depenalizzazione operata dal D.Lgs. 8/2016 – del delitto di atti osceni in luogo pubblico abitualmente frequentato da minori, ciò nell’immanente pericolo che essi possano assistervi.

Secondo l’impostazione portata avanti dalla Procura, si sosteneva che la Pineta presenta notoriamente strutture adibite anche ad ospitare minori, tanto più in Primavera (eravamo nel mese di Aprile), il che renderebbe configurato il c.d. pericolo concreto richiesto dal reato in oggetto.

Obbiettava questa difesa che se si tratta di pericolo concreto, allora è necessario verificare puntualmente, caso per caso, la presenza di luoghi deputati alla presenza di minori, senza dare per scontato, in assenza di tale verifica, che sia integrato il pericolo concreto che minori possano assistere, con concreta probabilità che si trovassero nelle vicinanze, all’impudico spettacolo.

In tal senso deporrebbero il periodo dell’anno (aprile) e l’orario mattutino (ore 9) il contesto storico di verificazione (si era ancora in piena pandemia da diffusione del Covid 19), la condizione assolutamente isolata dei luoghi, per come descritta puntualmente dalla P.G. negli atti di indagine (si fa esplicito riferimento all’assenza quasi totale di personee dalla stessa parte offesa … : tutti aspetti che tenderebbero ad escludere la concretezza del predicato pericolo.

Il GIP del Tribunale di Ravenna riprendeva gli arresti più importanti della Suprema Corte, che nell’ultima pronuncia del 2022 altro non fa se non ribadire – secondo il proprio consolidato orientamento – cosa è da intendere per luogo abitualmente frequentato da minori (Cass. Pen, sez. 3, n. 43542/2019): quelli riconoscibili come tali per vocazione strutturale ovvero per elezione specifica, di volta in volta scelti dai minori come punto abituale di incontro o di socializzazione, ove si trattengono per un termine non breve …

Si tratta di un pericolo concreto, non presunto né astratto, che come tale deve essere oggetto di una puntuale verifica giudiziale, mostrandosi piuttosto sufficiente che il pericolo che un minore possa assistere, in quello specifico caso ed in base alle circostanze della specifica vicenda, potesse accadere, connotandolo in termini di concretezza quale significativa probabilità (Cass. Pen., sez. 3, n. 26080/2020).

Il caso da me trattato, alla luce di tale patrimonio giurisprudenziale (non nuovo ma consolidato), certamente si sottraeva dallo schema normativo.

La condotta venne perpetrata all’interno della Pineta quale luogo deputato solo per eventuale elezione specifica, ad ospitare la presenza di famiglie, eppure nel caso concreto era una giornata di Aprile, di primo mattino, in periodo di lockdown e DAD, senza che venisse appurata dalla P.G. o da testimonianze la presenza di attività ludiche o minori (anzi, nemmeno la presenza di qualsiasi altra persona), men che meno abitualmente.

Per questi motivi il fatto rientrava piuttosto nella cornice del depenalizzato comma 1 dell’art. 527 c.p., con trasmissione degli atti all’Autorità Amministrativa per la sanzione amministrativa da irrogare, assolvendo l’imputato da responsabilità penale.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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Tribunale di Forlì – sentenza n. 508/2022

 

IL FATTO

Il caso che ci occupa trae origine da un sinistro stradale, in relazione al quale veniva contestato al mio assistito di essersi messo alla guida di un veicolo in stato di ebbrezza, in relazione all’uso di bevande alcoliche, cagionando il suddetto incidente stradale.

Gli elementi di prova a carico dell’imputato consistevano negli accertamenti svolti dal corpo di Polizia Locale intervenuto a seguito della segnalazione di un tamponamento, avvenuto approssimativamente alle ore 22:45.

La Polizia Locale interveniva sul luogo dell’incidente più di un’ora dopo, ovvero alle ore 23:54 circa (orario della prima misurazione con etilometro).

In considerazione dell’alito vinoso, l’odierno imputato veniva infatti sottoposto alla misurazione del tasso alcolemico mediante strumentazione “alcoltest”, nell’ambito di quelli che vengono definiti “accertamenti urgenti”.

L’esito di tale accertamento forniva una concentrazione superiore ai limiti stabiliti dall’art. 186 co. 2 lett. c) Codice della Strada, e cioè 1,78 g/l alla prima misurazione delle 23:54 e sempre 1,78 g/l alla seconda misurazione eseguita più di dieci minuti dopo, alle ore 00:08.

 

Art. 186 del Codice della Strada:

  1. è vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche.
  2. Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:
  3. a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 532 (3) a euro 2.127 (3), qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
  4. b) con l’ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
  5. c) con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’articolo 224-ter.

2-bis. Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui al comma 2 del presente articolo e al comma 3 dell’articolo 186-bis sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per centottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea all’illecito. Qualora per il conducente che provochi un incidente stradale sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l), fatto salvo quanto previsto dal quinto e sesto periodo della lettera c) del comma 2 del presente articolo, la patente di guida è sempre revocata ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. E’ fatta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 222.

2-ter. Competente a giudicare dei reati di cui al presente articolo è il tribunale in composizione monocratica.

2-quater. Le disposizioni relative alle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano anche in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.

2-quinquies. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del comma 2, il veicolo, qualora non possa essere guidato da altra persona idonea, può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore.

2-sexies. l’ammenda prevista dal comma 2 è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7.

2-septies. Le circostanze attenuanti concorrenti con l’aggravante di cui al comma 2-sexies non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa. Le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante.

2-octies. Una quota pari al venti per cento dell’ammenda irrogata con la sentenza di condanna che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui al comma 2-sexies è destinata ad alimentare il Fondo contro l’incidentalità notturna di cui all’articolo 6-bis del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, e successive modificazioni.

  1. Al fine di acquisire elementi utili per motivare l’obbligo di sottoposizione agli accertamenti di cui al comma 4, gli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi l e 2, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili.
  2. Quando gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3 hanno dato esito positivo, in ogni caso d’incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psico-fisica derivante dall’influenza dell’alcool, gli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento.
  3. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l’accertamento del tasso alcoolemico viene effettuato, su richiesta degli organi di Polizia stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, da parte delle strutture sanitarie di base o di quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate. Le strutture sanitarie rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, estesa alla prognosi delle lesioni accertate, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge. Copia della certificazione di cui al periodo precedente deve essere tempestivamente trasmessa, a cura dell’organo di polizia che ha proceduto agli accertamenti, al prefetto del luogo della commessa violazione per gli eventuali provvedimenti di competenza. I fondi necessari per l’espletamento degli accertamenti di cui al presente comma sono reperiti nell’ambito dei fondi destinati al Piano nazionale della sicurezza stradale di cui all’articolo 32 della legge 17 maggio 1999, n. 144 Si applicano le disposizioni del comma 5-bis dell’articolo 187.
  4. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 o 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni di cui al comma 2.
  5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente e’ punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione. Con l’ordinanza con la quale e’ disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica secondo le disposizioni del comma 8. Se il fatto è commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per il medesimo reato, è sempre disposta la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.
  6. Con l’ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente ai sensi dei commi 2 e 2-bis, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica ai sensi dell’articolo 119, comma 4, che deve avvenire nel termine di sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto puo’ disporre, in via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all’esito della visita medica.
  7. Qualora dall’accertamento di cui ai commi 4 e 5 risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ferma restando l’applicazione delle sanzioni di cui ai commi 2 e 2-bis, il prefetto, in via cautelare, dispone la sospensione della patente fino all’esito della visita medica di cui al comma 8.

9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l’esecuzione a meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta.

 

L’imputato riceveva pertanto la notifica di un decreto penale di condanna che prevedeva una sanzione pari ad Euro 15.300 di ammenda, con le sanzioni amministrative accessorie del fermo del veicolo, successiva confisca del veicolo nonché revoca della patente di guida.

Il decreto penale veniva opposto radicando il giudizio immediato, che veniva celebrato unicamente con acquisizione della documentazione in atti e l’esame del teste di Polizia Locale, che non poteva fare altro che confermare le perplessità della difesa: non c’erano testimoni sul luogo dell’incidente, l’intervento della Polizia è avvenuto più di un’ora dopo e soprattutto non poteva stabilire con esattezza il momento del sinistro.

 

IL GIUDIZIO

Accogliendo l’impostazione difensiva, il Tribunale di Forlì argomentava in merito all’impossibilità di ritenere pienamente dimostrata la responsabilità penale dell’imputato, non potendo in alcun modo dimostrare, in base alla documentazione in atti, che la concentrazione di alcol nel sangue fosse superiore alla soglia che rende il fatto penalmente rilevante.

 

La difesa infatti indicava, facendo propria la nota teoria della Curva di Widmark, che la stessa Giurisprudenza di Legittimità (Cass. Pen. sez. IV n. 39725 del 2019) pone a fondamento del ragionamento giuridico in rilievo: la concentrazione di alcol nel sangue segue generalmente un andamento crescente tra i 20 e i 60 minuti dall’assunzione (tempo che può variare da soggetto a soggetto), assumendo un andamento decrescente dopo aver raggiunto il picco.

Non può escludersi, sulla base degli accertamenti compiuti, che prima dell’arrivo della Polizia Locale l’imputato abbia assunto bevande alcoliche, in assenza di alcuna testimonianza in merito alla permanenza sul posto, così come non può escludersi l’eventualità che in tale lasso di tempo (decorso tra incidente e primo test alcolemico, circa 70 minuti), la concentrazione nel sangue sia salita fino al livello rilevato, partendo da una concentrazione iniziale non superiore alla soglia di rilevanza penale di cui alle lettere b) e c) dell’art. 186 Codice della Strada.

 

Così conclude il Giudice forlivese nella sentenza allegata:

Il fatto che, nel caso di specie, le due rilevazioni eseguite a distanza di 14 minuti l’una dall’altra, abbiano fornito risultati perfettamente identici, induce a ritenere che quello rilevato fosse proprio il picco raggiunto dalla concentrazione di alcol nel sangue, destinato dunque a decrescere ma soprattutto raggiunto all’esito di un andamento crescente, sulla base del quale non può escludersi che al momento dell’incidente (avvenuto, lo si ribadisce, circa 70 minuti prima della prima misurazione) il livello di alcol nel sangue fosse inferiore alla soglia di rilevanza penale.

Non sono emersi, d’altra parte, elementi ulteriori a fondamento dell’ipotesi accusatoria, potendo l’alito vinoso ricondursi alla mere assunzione di alcol nei limiti consentiti dalla legge ovvero nell’ambito della soglia rilevante ai fini dell’applicazione delle sole sanzioni amministrative.

 

CONCLUSIONE

Nel caso di specie era impossibile stabilire l’effettiva rilevanza penale del valore accertato pertanto il Giudice assolveva l’imputato per insufficienza di prove.

Si può affermare che gli accertamenti urgenti, quali l’alcoltest, devono necessariamente essere urgenti anche nei fatti, altrimenti non risultano più attendibili nell’accertamento della responsabilità penale.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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Alcuni spunti giurisprudenziali sulla valutazione della obbligatorietà dell’idoneità alloggiativa prima della stipula del contratto di soggiorno, alla luce dell’ordinanza n. 2328/2022 del Consiglio di Stato (sez. III).

di avv. Filippo Antonelli e avv. Luca Castagnoli

 

Il caso in oggetto riguarda una domanda di emersione ai sensi della disciplina di cui all’art. 103 co. I D.L. 34/2020 (c.d. sanatoria), presentata da un cittadino senegalese a favore di un altro suo connazionale, nel luglio 2020.

A distanza di più di un anno la locale Prefettura notificava un preavviso di rigetto al richiedente qualora, entro e non oltre 10 giorni, egli non avesse presentato tramite e-mail tutta la documentazione già esibita più di un anno prima, unitamente ad un certificato di idoneità alloggiativa di un immobile da adibire a domicilio/residenza (o quantomeno l’avvio del procedimento di rilascio dell’idoneità).

Egli pertanto si prodigava alla ricerca di un immobile che potesse essere certificato come “idoneo” secondo la normativa, impiegando qualche mese prima di riuscire nel proprio intento. Nelle more veniva notificato il rigetto della domanda di emersione.

A seguito di richiesta di riesame alla competente Prefettura, la stessa non riteneva sussistere “alcun interesse pubblico all’attivazione in autotutela. Si procedeva, pertanto, con un ricorso al TAR competente allegando istanza cautelare di sospensione del decreto prefettizio di rigetto della domanda di emersione.

Richiesta in primo grado e istanza cautelare

In primo grado le richieste presentate al Collegio muovevano da un dato normativo inoppugnabile, ai sensi della previsione dell’art. 103 co. I D.L. 34/2020, circa la costituzione di un nuovo contratto di lavoro subordinato.

Alla luce della presenza di tutta la documentazione richiesta, veniva preliminarmente evidenziato che il ritardo era unicamente dovuto alla richiesta di una idoneità alloggiativa da produrre entro 10 giorni, a fronte del ritardo di oltre un anno da parte dell’Amministrazione per riscontrare la domanda di emersione. D’altronde la normativa non prevede, quale condizione ostativa all’accoglimento dell’istanza, l’attestazione di idoneità alloggiativa; solo quest’ultima non era nella disponibilità dei ricorrenti al momento della richiesta da parte della Prefettura ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90.

Ulteriormente si esprimevano dubbi sul fatto che la P.A. non ravvisasse alcun interesse pubblico ad accogliere una domanda completa di ogni requisito e condizione normativa, anche in virtù del fatto che l’idoneità alloggiativa non è prevista come requisito per il perfezionamento della procedura emersiva, né dall’art. 103 D.L. 34/2020 né dal Decreto interministeriale del 27 maggio 2020. Ciò è parso coerente con il fatto che il beneficiario della procedura è un cittadino straniero già presente sul territorio e con la ratio dell’emersione che è quella di garantire un soggiorno legale nel Paese a quanti più lavoratori irregolari possibile, indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Successivamente le circolari e gli Sportelli Unici hanno iniziato a richiedere, quantomeno, la prova dell’invio della relativa domanda al Comune, che tuttavia presuppone comunque il reperimento di un alloggio che sia, di per sé, idoneo a tal fine, prima di attivare i tecnici comunali per ottenere la certificazione.

La presenza o meno di tale documentazione (in origine peraltro non richiesta dalle Prefetture se non in sede di convocazione, poi rappresentata quale condizione essenziale) era l’unica causa del ritardo nella (ri) allegazione documentale comunque adempiuta, connessa peraltro a dinamiche non in esclusivo controllo degli stessi.

L’allegazione di tale documento, prima della convocazione ai fini della stipula del contratto di soggiorno, non poteva costituire causa ostativa all’accoglimento della domanda.

Le ragioni per le quali tale requisito è inserito tra quelli richiesti ai fini dell’accoglimento non tengono assolutamente conto dei cambi di domicilio e residenza e di tutte le problematiche connesse alle condizioni abitative dello straniero.

Peraltro nella maggior parte dei rapporti di lavoro stipulati senza convivenza con il datore di lavoro, la legittimazione a richiedere l’idoneità alloggiativa sull’immobile abitato dal lavoratore non appartiene a nessuno dei due: il datore di lavoro non può richiederla perché si parla di un immobile estraneo alla sua disponibilità giuridica, il lavoratore in quanto ancora privo del permesso di soggiorno.

In definitiva i ricorrenti si trovavano, fin dall’inizio della lunghissima procedura di emersione, nella piena titolarità di ogni interesse e/o diritto a norma del D.L. 34/2020, e inoltravano l’avvio del procedimento di idoneità alloggiativa in sede di riesame, depositando il relativo certificato al TAR in vista dell’udienza cautelare in camera di consiglio.

Occorre considerare che l’attestazione di idoneità alloggiativa si inquadra nel contesto delle norme che disciplinano il contratto di soggiorno, cui l’art. 103 co. 9 D.L. 34/2020 fa espressamente riferimento: costituisce causa di rigetto delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione, da parte del datore di lavoro, del contratto di soggiorno presso lo sportello unico per l’immigrazione…

Il contratto di soggiorno è un istituto relativo alla conclusione dei primi rapporti di lavoro con i cittadini extracomunitari introdotto dall’art. 5 bis TUI, che presuppone un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ma tale requisito veniva richiesto solo in sede di convocazione e, poi, di stipula.

Le precedenti “sanatorie” non possono che essere d’esempio e di guida, in relazione a tale requisito che, a tutti gli effetti, non veniva considerato come tale nella ultima c.d. Sanatoria del 2009. Così si esprimeva il TAR Lazio (n. 9856 del 18 novembre 2013), con riferimento alla presentazione dell’idoneità alloggiativa: L’attestazione di idoneità alloggiativa non rientra però tra le circostanze che devono essere attestate nella procedura di emersione. Essa, infatti, attiene unicamente alle obbligazioni assunte dal datore di lavoro con la stipula del contratto di soggiorno, dovendo egli fornire, a mente dell’ art.5 bis del d.lgs. 286/98, “la garanzia (..) della disponibilità di un alloggio per il lavorato re che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. In termini non dissimili si è peraltro di recente espresso, ancorché in sede cautelare, il Consiglio di Stato, con ord. 5545/2011[…]

Per questi motivi si chiedeva al TAR di sospendere, in via cautelare, il decreto prefettizio, ciò anche in relazione al periculum in mora derivante dalla condizione di totale irregolarità del lavoratore richiedente e del conseguente rischio di espulsione.

La posizione del TAR e l’appello cautelare

Il Collegio emiliano rigettava la richiesta cautelare, così motivando la propria ordinanza:

Ritenuto, ad un sommario esame, di non poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che alla data di emanazione dell’atto impugnato parte ricorrente non ha fornito tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento di emersione; Considerata la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite della presente fase cautelare P.Q.M.
respinge la suindicata domanda cautelare. Spese compensate.

Ritenendo che vi fossero spiragli, quantomeno giurisprudenziali, relativi alla valorizzazione dei concetti sopra argomentati, si procedeva con l’appello cautelare presso il Consiglio di Stato.

La Giurisprudenza posta all’attenzione del Consiglio di Stato era infatti conforme all’interpretazione dei sottoscritti, anche rispetto alla carenza di istruttoria e motivazione in casi simili (TAR Ancona n. 264/2021): la circolare ministeriale del 30 maggio 2020 prevede che, laddove la documentazione presentata dal richiedente sia carente, lo Sportello Unico per l’Immigrazione inviti l’interessato ad integrarla e fissi la data del nuovo appuntamento … tenuto conto degli allegati all’istanza di autotutela.

Solo a seguito della permanenza di tale carenza nel nuovo appuntamento (mai concesso in questo caso) si potrà procedere al rigetto.

Non solo.

La sez. III del Consiglio di Stato, in data 22.04.2022 (ordinanza n. 1896) si esprimeva in via cautelare sull’evidente gravità del pregiudizio che è suscettibile di derivare per la parte appellante dal provvedimento impugnato in primo grado, rispetto ad una certificazione alloggiativa, in quel caso, addirittura falsa.

Nel nostro caso vi era un mero ritardo nella presentazione, per i motivi indicati. Anche lo stesso TAR Emilia-Romagna, in altra ordinanza cautelare del 26.01.2022 n. 69, si esprimeva in modo del tutto opposto: in ragione della straordinarietà di tale procedura, occorre attribuire rilevanza alla documentazione a tale fine comunque acquisita sicché appare opportuno che l’amministrazione proceda a motivato riesame delle proprie determinazioni alla luce della richiesta di idoneità alloggiativa…e della complessiva documentazione in atti e trasmessa all’ufficio.

Così ancora il TAR Campania (Salerno, ordinanza n. 178 del 28.04.2022)circa la persistenza del pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso, connesso al concreto rischio di espulsione … considerato che merita di essere approfondita, in sede di merito, la questione concernente l’intervenuta, ancorché tardiva produzione, da parte dell’interessata del prescritto certificato di idoneità alloggiativa.

Ancora più interessante l’ordinanza n. 297 del 05.05.2022 del TAR Toscana, che accoglieva l’istanza cautelare ritenendo opportuno un riesame complessivo dell’istanza di emersione da parte della Prefettura consentendo alla ricorrente di integrarla anche con il deposito della richiesta di idoneità alloggiativa agli organi competenti.

La decisione cautelare del Consiglio di Stato (sez. III), n. 2328 del 20.05.2022

A fronte dei numerosi approfondimenti giurisprudenziali e degli argomenti addotti, il Consiglio di Stato si esprimeva in senso favorevole alle richieste dei ricorrenti. L’ordinanza cautelare (allegata) ritiene infatti controversa la legittimità del decreto che ha respinto l’istanza volta alla emersione del ricorrente dal lavoro irregolare a cagione della mancata produzione, nel termine assegnato di 10 gg, di tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento.

L’ordinanza si spingeva oltre e, quasi entrando nel merito, indicava che appaiono

plausibili le circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione del ritardo accumulato nel reperire la parte di documenti mancati, mentre è meritevole di essere approfondito l’ulteriore tema della necessità del certificato di idoneità alloggiativa.

Il Consiglio di Stato compensava le spese di grado e trasmetteva al TAR Emilia- Romagna l’ordinanza che accoglieva l’istanza cautelare di primo grado, per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.

Al netto di ogni valutazione sul merito, che sarà oggetto di analisi da parte del Collegio emiliano, si ritiene che l’orientamento offerto dal massimo Collegio amministrativo sia, pur in fase cautelare, particolarmente significativo per le procedure di emersione collegate alla necessaria esibizione del certificato di idoneità alloggiativa.

 

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avv. Filippo Antonelli

avv. Luca Castagnoli