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Idoneità alloggiativa non indispensabile ai fini della domanda di emersione dello straniero, se non in fase di stipula del contratto di soggiorno.

La pronuncia del TAR per l’Emilia Romagna (Bologna): Sentenza n. 56/2023 del 25.01.2023.

di avv. Filippo Antonelli

 

La vicenda si inserisce quale epilogo di un caso già trattato, di richiesta di annullamento di un diniego della procedura di emersione (co. 1), che il Consiglio di Stato (nell’ordinanza sopra indicata) sospendeva in via cautelare, rimandando al TAR per la discussione nel merito.

Le richieste presentate al TAR muovevano da un dato normativo inoppugnabile, ai sensi della previsione dell’art. 103 co. I D.L. 34/2020, circa la costituzione di un nuovo contratto di lavoro subordinato.

Alla luce della presenza di tutta la documentazione richiesta, veniva preliminarmente evidenziato che il ritardo era unicamente dovuto alla richiesta di una idoneità alloggiativa da produrre entro 10 giorni, a fronte del ritardo di oltre un anno da parte dell’Amministrazione per riscontrare la domanda di emersione. D’altronde la normativa non prevede, quale condizione ostativa all’accoglimento dell’istanza, l’attestazione di idoneità alloggiativa; solo quest’ultima non era nella disponibilità dei ricorrenti al momento della richiesta da parte della Prefettura ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90.

Ulteriormente si esprimevano dubbi sul fatto che la P.A. non ravvisasse alcun interesse pubblico ad accogliere una domanda completa di ogni requisito e condizione normativa, anche in virtù del fatto che l’idoneità alloggiativa non è prevista come requisito per il perfezionamento della procedura emersiva, né dall’art. 103 D.L. 34/2020 né dal Decreto interministeriale del 27 maggio 2020. Ciò è parso coerente con il fatto che il beneficiario della procedura è un cittadino straniero già presente sul territorio e con la ratio dell’emersione che è quella di garantire un soggiorno legale nel Paese a quanti più lavoratori irregolari possibile, indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Successivamente le circolari e gli Sportelli Unici hanno iniziato a richiedere, quantomeno, la prova dell’invio della relativa domanda al Comune, che tuttavia presuppone comunque il reperimento di un alloggio che sia, di per sé, idoneo a tal fine, prima di attivare i tecnici comunali per ottenere la certificazione.

La presenza o meno di tale documentazione (in origine peraltro non richiesta dalle Prefetture se non in sede di convocazione, poi rappresentata quale condizione essenziale) era l’unica causa del ritardo nella (ri) allegazione documentale comunque adempiuta, connessa peraltro a dinamiche non in esclusivo controllo degli stessi.

L’allegazione di tale documento, prima della convocazione ai fini della stipula del contratto di soggiorno, non poteva costituire causa ostativa all’accoglimento della domanda.

Le ragioni per le quali tale requisito è inserito tra quelli richiesti ai fini dell’accoglimento non tengono assolutamente conto dei cambi di domicilio e residenza e di tutte le problematiche connesse alle condizioni abitative dello straniero.

Peraltro nella maggior parte dei rapporti di lavoro stipulati senza convivenza con il datore di lavoro, la legittimazione a richiedere l’idoneità alloggiativa sull’immobile abitato dal lavoratore non appartiene a nessuno dei due: il datore di lavoro non può richiederla perché si parla di un immobile estraneo alla sua disponibilità giuridica, il lavoratore in quanto ancora privo del permesso di soggiorno.

Il contratto di soggiorno è un istituto relativo alla conclusione dei primi rapporti di lavoro con i cittadini extracomunitari introdotto dall’art. 5 bis TUI, che presuppone un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ma tale requisito veniva richiesto solo in sede di convocazione e, poi, di stipula.

La posizione del TAR e l’appello cautelare

Il Collegio emiliano rigettava la richiesta cautelare, così motivando la propria ordinanza:

Ritenuto, ad un sommario esame, di non poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che alla data di emanazione dell’atto impugnato parte ricorrente non ha fornito tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento di emersione; Considerata la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite della presente fase cautelare P.Q.M.
respinge la suindicata domanda cautelare. Spese compensate.

Ritenendo che vi fossero spiragli, quantomeno giurisprudenziali, relativi alla valorizzazione dei concetti sopra argomentati, si procedeva con l’appello cautelare presso il Consiglio di Stato.

La Giurisprudenza posta all’attenzione del Consiglio di Stato era infatti conforme all’interpretazione dei sottoscritti, anche rispetto alla carenza di istruttoria e motivazione in casi simili (TAR Ancona n. 264/2021): la circolare ministeriale del 30 maggio 2020 prevede che, laddove la documentazione presentata dal richiedente sia carente, lo Sportello Unico per l’Immigrazione inviti l’interessato ad integrarla e fissi la data del nuovo appuntamento … tenuto conto degli allegati all’istanza di autotutela.

Solo a seguito della permanenza di tale carenza nel nuovo appuntamento (mai concesso in questo caso) si potrà procedere al rigetto.

Non solo.

La sez. III del Consiglio di Stato, in data 22.04.2022 (ordinanza n. 1896) si esprimeva in via cautelare sull’evidente gravità del pregiudizio che è suscettibile di derivare per la parte appellante dal provvedimento impugnato in primo grado, rispetto ad una certificazione alloggiativa, in quel caso, addirittura falsa.

Nel nostro caso vi era un mero ritardo nella presentazione, per i motivi indicati. Anche lo stesso TAR Emilia-Romagna, in altra ordinanza cautelare del 26.01.2022 n. 69, si esprimeva in modo del tutto opposto: in ragione della straordinarietà di tale procedura, occorre attribuire rilevanza alla documentazione a tale fine comunque acquisita sicché appare opportuno che l’amministrazione proceda a motivato riesame delle proprie determinazioni alla luce della richiesta di idoneità alloggiativa…e della complessiva documentazione in atti e trasmessa all’ufficio.

Così ancora il TAR Campania (Salerno, ordinanza n. 178 del 28.04.2022)circa la persistenza del pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso, connesso al concreto rischio di espulsione … considerato che merita di essere approfondita, in sede di merito, la questione concernente l’intervenuta, ancorché tardiva produzione, da parte dell’interessata del prescritto certificato di idoneità alloggiativa.

Ancora più interessante l’ordinanza n. 297 del 05.05.2022 del TAR Toscana, che accoglieva l’istanza cautelare ritenendo opportuno un riesame complessivo dell’istanza di emersione da parte della Prefettura consentendo alla ricorrente di integrarla anche con il deposito della richiesta di idoneità alloggiativa agli organi competenti.

A fronte dei numerosi approfondimenti giurisprudenziali e degli argomenti addotti, il Consiglio di Stato si esprimeva in senso favorevole alle richieste dei ricorrenti. L’ordinanza cautelare (allegata) ritiene infatti controversa la legittimità del decreto che ha respinto l’istanza volta alla emersione del ricorrente dal lavoro irregolare a cagione della mancata produzione, nel termine assegnato di 10 gg, di tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento.

L’ordinanza si spingeva oltre e, quasi entrando nel merito, indicava che appaiono

plausibili le circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione del ritardo accumulato nel reperire la parte di documenti mancati, mentre è meritevole di essere approfondito l’ulteriore tema della necessità del certificato di idoneità alloggiativa.

Il Consiglio di Stato compensava le spese di grado e trasmetteva al TAR Emilia- Romagna l’ordinanza che accoglieva l’istanza cautelare di primo grado, per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.

La decisione nel merito: sentenza n. 56/2023 TAR per l’Emilia Romagna.

La vicenda si concludeva, finalmente, con la pronuncia del Collegio Emiliano che, recependo l’insegnamento della Giurisprudenza del Consiglio di Stato e di altri TAR, riconosceva – dopo quasi 3 anni – l’agognato titolo di soggiorno al lavoratore che chiedeva l’emersione.

Considerata la chiarezza espositiva nella motivazione resa dal TAR, si riportano testualmente alcuni passaggi in diritto:

Il ricorso è fondato e va accolto.

Giova premettere in punto di fatto che parte ricorrente con l’istanza presentata in via telematica del 23 luglio 2020 aveva già presentato gran parte delle informazioni e della documentazione richiesta se si eccettua proprio l’idoneità alloggiativa, secondo la Prefettura requisito indispensabile per accedere alla procedura di emersione dal lavoro irregolare, richiamandosi al disposti di cui all’art. 5 bis del Testo unico immigrazione.

Non ritiene il Collegio di poter condividere l’assunto dell’Amministrazione.

Se infatti l’idoneità alloggiativa è pacificamente richiesta per il rinnovo del permesso di soggiorno … non altrettanto è invero previsto nell’ambito della procedura di emersione di cui al citato art 103 comma 1 del D.L. n. 34/2020.

Infatti a ben vedere né l’art 103 della norma primaria né la disciplina secondaria attuativa di cui al D.M. del 27 maggio 2020 prescrivono tale requisito, nell’ambito di una procedura con funzione sanante (ex plurimis Cassazione Civile sez. I, 13 settembre 2022, n. 26863) i cui requisiti e presupposti rispondo al principio di tassatività e nominatività.

Ne consegue che l’idoneità alloggiativa ben può essere dimostrata ex post in sede di convocazione per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, come ampiamente argomentato dalla difesa di parte ricorrente, rispondendo ciò pienamente alla “ratio” dell’emersione di garantire un soggiorno legale agli stranieri “meritevoli” già presenti nel territorio italiano in data antecedente l’8 marzo 2020 e da impiegare nelle attività lavorative indicate dalla legge indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Erra dunque l’Amministrazione a voler equiparare la fattispecie di cui all’art. 5 bis TUI in tema di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato alla procedura di emersione di cui all’art. 103 c. 1 D.L. 34/2020, come detto avente funzione sanante e speciale.

 

avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

Alcuni spunti giurisprudenziali sulla valutazione della obbligatorietà dell’idoneità alloggiativa prima della stipula del contratto di soggiorno, alla luce dell’ordinanza n. 2328/2022 del Consiglio di Stato (sez. III).

di avv. Filippo Antonelli e avv. Luca Castagnoli

 

Il caso in oggetto riguarda una domanda di emersione ai sensi della disciplina di cui all’art. 103 co. I D.L. 34/2020 (c.d. sanatoria), presentata da un cittadino senegalese a favore di un altro suo connazionale, nel luglio 2020.

A distanza di più di un anno la locale Prefettura notificava un preavviso di rigetto al richiedente qualora, entro e non oltre 10 giorni, egli non avesse presentato tramite e-mail tutta la documentazione già esibita più di un anno prima, unitamente ad un certificato di idoneità alloggiativa di un immobile da adibire a domicilio/residenza (o quantomeno l’avvio del procedimento di rilascio dell’idoneità).

Egli pertanto si prodigava alla ricerca di un immobile che potesse essere certificato come “idoneo” secondo la normativa, impiegando qualche mese prima di riuscire nel proprio intento. Nelle more veniva notificato il rigetto della domanda di emersione.

A seguito di richiesta di riesame alla competente Prefettura, la stessa non riteneva sussistere “alcun interesse pubblico all’attivazione in autotutela. Si procedeva, pertanto, con un ricorso al TAR competente allegando istanza cautelare di sospensione del decreto prefettizio di rigetto della domanda di emersione.

Richiesta in primo grado e istanza cautelare

In primo grado le richieste presentate al Collegio muovevano da un dato normativo inoppugnabile, ai sensi della previsione dell’art. 103 co. I D.L. 34/2020, circa la costituzione di un nuovo contratto di lavoro subordinato.

Alla luce della presenza di tutta la documentazione richiesta, veniva preliminarmente evidenziato che il ritardo era unicamente dovuto alla richiesta di una idoneità alloggiativa da produrre entro 10 giorni, a fronte del ritardo di oltre un anno da parte dell’Amministrazione per riscontrare la domanda di emersione. D’altronde la normativa non prevede, quale condizione ostativa all’accoglimento dell’istanza, l’attestazione di idoneità alloggiativa; solo quest’ultima non era nella disponibilità dei ricorrenti al momento della richiesta da parte della Prefettura ai sensi dell’art. 10 bis L. 241/90.

Ulteriormente si esprimevano dubbi sul fatto che la P.A. non ravvisasse alcun interesse pubblico ad accogliere una domanda completa di ogni requisito e condizione normativa, anche in virtù del fatto che l’idoneità alloggiativa non è prevista come requisito per il perfezionamento della procedura emersiva, né dall’art. 103 D.L. 34/2020 né dal Decreto interministeriale del 27 maggio 2020. Ciò è parso coerente con il fatto che il beneficiario della procedura è un cittadino straniero già presente sul territorio e con la ratio dell’emersione che è quella di garantire un soggiorno legale nel Paese a quanti più lavoratori irregolari possibile, indipendentemente dalle condizioni materiali di vita.

Successivamente le circolari e gli Sportelli Unici hanno iniziato a richiedere, quantomeno, la prova dell’invio della relativa domanda al Comune, che tuttavia presuppone comunque il reperimento di un alloggio che sia, di per sé, idoneo a tal fine, prima di attivare i tecnici comunali per ottenere la certificazione.

La presenza o meno di tale documentazione (in origine peraltro non richiesta dalle Prefetture se non in sede di convocazione, poi rappresentata quale condizione essenziale) era l’unica causa del ritardo nella (ri) allegazione documentale comunque adempiuta, connessa peraltro a dinamiche non in esclusivo controllo degli stessi.

L’allegazione di tale documento, prima della convocazione ai fini della stipula del contratto di soggiorno, non poteva costituire causa ostativa all’accoglimento della domanda.

Le ragioni per le quali tale requisito è inserito tra quelli richiesti ai fini dell’accoglimento non tengono assolutamente conto dei cambi di domicilio e residenza e di tutte le problematiche connesse alle condizioni abitative dello straniero.

Peraltro nella maggior parte dei rapporti di lavoro stipulati senza convivenza con il datore di lavoro, la legittimazione a richiedere l’idoneità alloggiativa sull’immobile abitato dal lavoratore non appartiene a nessuno dei due: il datore di lavoro non può richiederla perché si parla di un immobile estraneo alla sua disponibilità giuridica, il lavoratore in quanto ancora privo del permesso di soggiorno.

In definitiva i ricorrenti si trovavano, fin dall’inizio della lunghissima procedura di emersione, nella piena titolarità di ogni interesse e/o diritto a norma del D.L. 34/2020, e inoltravano l’avvio del procedimento di idoneità alloggiativa in sede di riesame, depositando il relativo certificato al TAR in vista dell’udienza cautelare in camera di consiglio.

Occorre considerare che l’attestazione di idoneità alloggiativa si inquadra nel contesto delle norme che disciplinano il contratto di soggiorno, cui l’art. 103 co. 9 D.L. 34/2020 fa espressamente riferimento: costituisce causa di rigetto delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione, da parte del datore di lavoro, del contratto di soggiorno presso lo sportello unico per l’immigrazione…

Il contratto di soggiorno è un istituto relativo alla conclusione dei primi rapporti di lavoro con i cittadini extracomunitari introdotto dall’art. 5 bis TUI, che presuppone un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Ma tale requisito veniva richiesto solo in sede di convocazione e, poi, di stipula.

Le precedenti “sanatorie” non possono che essere d’esempio e di guida, in relazione a tale requisito che, a tutti gli effetti, non veniva considerato come tale nella ultima c.d. Sanatoria del 2009. Così si esprimeva il TAR Lazio (n. 9856 del 18 novembre 2013), con riferimento alla presentazione dell’idoneità alloggiativa: L’attestazione di idoneità alloggiativa non rientra però tra le circostanze che devono essere attestate nella procedura di emersione. Essa, infatti, attiene unicamente alle obbligazioni assunte dal datore di lavoro con la stipula del contratto di soggiorno, dovendo egli fornire, a mente dell’ art.5 bis del d.lgs. 286/98, “la garanzia (..) della disponibilità di un alloggio per il lavorato re che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. In termini non dissimili si è peraltro di recente espresso, ancorché in sede cautelare, il Consiglio di Stato, con ord. 5545/2011[…]

Per questi motivi si chiedeva al TAR di sospendere, in via cautelare, il decreto prefettizio, ciò anche in relazione al periculum in mora derivante dalla condizione di totale irregolarità del lavoratore richiedente e del conseguente rischio di espulsione.

La posizione del TAR e l’appello cautelare

Il Collegio emiliano rigettava la richiesta cautelare, così motivando la propria ordinanza:

Ritenuto, ad un sommario esame, di non poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che alla data di emanazione dell’atto impugnato parte ricorrente non ha fornito tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento di emersione; Considerata la sussistenza di giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite della presente fase cautelare P.Q.M.
respinge la suindicata domanda cautelare. Spese compensate.

Ritenendo che vi fossero spiragli, quantomeno giurisprudenziali, relativi alla valorizzazione dei concetti sopra argomentati, si procedeva con l’appello cautelare presso il Consiglio di Stato.

La Giurisprudenza posta all’attenzione del Consiglio di Stato era infatti conforme all’interpretazione dei sottoscritti, anche rispetto alla carenza di istruttoria e motivazione in casi simili (TAR Ancona n. 264/2021): la circolare ministeriale del 30 maggio 2020 prevede che, laddove la documentazione presentata dal richiedente sia carente, lo Sportello Unico per l’Immigrazione inviti l’interessato ad integrarla e fissi la data del nuovo appuntamento … tenuto conto degli allegati all’istanza di autotutela.

Solo a seguito della permanenza di tale carenza nel nuovo appuntamento (mai concesso in questo caso) si potrà procedere al rigetto.

Non solo.

La sez. III del Consiglio di Stato, in data 22.04.2022 (ordinanza n. 1896) si esprimeva in via cautelare sull’evidente gravità del pregiudizio che è suscettibile di derivare per la parte appellante dal provvedimento impugnato in primo grado, rispetto ad una certificazione alloggiativa, in quel caso, addirittura falsa.

Nel nostro caso vi era un mero ritardo nella presentazione, per i motivi indicati. Anche lo stesso TAR Emilia-Romagna, in altra ordinanza cautelare del 26.01.2022 n. 69, si esprimeva in modo del tutto opposto: in ragione della straordinarietà di tale procedura, occorre attribuire rilevanza alla documentazione a tale fine comunque acquisita sicché appare opportuno che l’amministrazione proceda a motivato riesame delle proprie determinazioni alla luce della richiesta di idoneità alloggiativa…e della complessiva documentazione in atti e trasmessa all’ufficio.

Così ancora il TAR Campania (Salerno, ordinanza n. 178 del 28.04.2022)circa la persistenza del pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso, connesso al concreto rischio di espulsione … considerato che merita di essere approfondita, in sede di merito, la questione concernente l’intervenuta, ancorché tardiva produzione, da parte dell’interessata del prescritto certificato di idoneità alloggiativa.

Ancora più interessante l’ordinanza n. 297 del 05.05.2022 del TAR Toscana, che accoglieva l’istanza cautelare ritenendo opportuno un riesame complessivo dell’istanza di emersione da parte della Prefettura consentendo alla ricorrente di integrarla anche con il deposito della richiesta di idoneità alloggiativa agli organi competenti.

La decisione cautelare del Consiglio di Stato (sez. III), n. 2328 del 20.05.2022

A fronte dei numerosi approfondimenti giurisprudenziali e degli argomenti addotti, il Consiglio di Stato si esprimeva in senso favorevole alle richieste dei ricorrenti. L’ordinanza cautelare (allegata) ritiene infatti controversa la legittimità del decreto che ha respinto l’istanza volta alla emersione del ricorrente dal lavoro irregolare a cagione della mancata produzione, nel termine assegnato di 10 gg, di tutta la documentazione richiesta dall’Amministrazione necessaria per la definizione del procedimento.

L’ordinanza si spingeva oltre e, quasi entrando nel merito, indicava che appaiono

plausibili le circostanze addotte dal ricorrente a giustificazione del ritardo accumulato nel reperire la parte di documenti mancati, mentre è meritevole di essere approfondito l’ulteriore tema della necessità del certificato di idoneità alloggiativa.

Il Consiglio di Stato compensava le spese di grado e trasmetteva al TAR Emilia- Romagna l’ordinanza che accoglieva l’istanza cautelare di primo grado, per la sollecita fissazione dell’udienza di merito.

Al netto di ogni valutazione sul merito, che sarà oggetto di analisi da parte del Collegio emiliano, si ritiene che l’orientamento offerto dal massimo Collegio amministrativo sia, pur in fase cautelare, particolarmente significativo per le procedure di emersione collegate alla necessaria esibizione del certificato di idoneità alloggiativa.

 

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avv. Filippo Antonelli

avv. Luca Castagnoli

Il caso di un rigetto della conversione del permesso di soggiorno, in difetto di valutazione specifica del caso concreto.

 

Il caso ha ad oggetto una richiesta presentata da un cittadino nigeriano, già titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai fini del suo rinnovo e/o conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

 

IL FATTO

Non a caso ho indicato rinnovo “e/oconversione.

Non ci si deve stupire oltremodo, ma nella maggior parte dei casi ci sono problemi di comunicazione tra chi riceve un’istanza relativa ad un permesso di soggiorno e lo stesso istante.

Nel caso in questione il cittadino nigeriano aveva presentato una domanda “di rinnovo” di un permesso per motivi umanitari, tuttavia il contenuto della domanda si presentava, evidentemente, di diversa natura.

Proprio tale natura doveva essere meglio considerata dalla Questura competente.

 

Nelle more dell’entrata in vigore della L. 132/2018, le Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale valutavano, ad ogni richiesta di rinnovo, il permanere della condizione di c.d. vulnerabilità che aveva portato, in prima battuta, al riconoscimento del permesso per motivi umanitari.

Al netto di ogni valutazione nel merito, che comunque non si condivide, lo straniero presentava un’istanza ai fini di un rinnovo che, nella pratica e nei fatti, altro non era se non una richiesta di conversione del titolo di soggiorno.

 

D’altronde gli atti ed i documenti offerti alla competente Questura consistevano in contratti di lavoro, passati e presenti (continuativi), buste paga, dichiarazioni dei redditi e, soprattutto, la stessa Questura competente indicava allo straniero di versare il contributo pari ad Euro 70,46, che lo stesso versava regolarmente.

Tale importo, è esattamente quello previsto per la durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, posto che il relativo importo del permesso per motivi umanitari è pari ad Euro 30,46.

Ciò nonostante la Questura rigettava la richiesta dello straniero, peraltro con una motivazione del tutto singolare: lo straniero ha avanzato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per “motivi umanitari” non avvalendosi, durante il periodo di validità del medesimo, della facoltà di richiedere la conversione del titolo posseduto, in un titolo di soggiorno per motivi di lavoro, così come previsto dalla L. 132/2018.

Per concludere, si indicava che tale provvedimento non necessitava della comunicazione di cui all’art. 10 bis L. 241/1990.

 

IL RICORSO AL T.A.R.

Dapprima veniva impugnato il provvedimento avanti al Tribunale Ordinario, giustamente sottolineando le violazioni occorse nella valutazione della permanenza dei requisiti umanitari che avevano portato al rilascio del permesso. Al di là delle valutazioni sul merito di tale domanda principale, si contestava altresì che – come sopra ampiamente indicato – il contenuto della domanda del cittadino nigeriano non fosse, assolutamente, assimilabile ad una richiesta di rinnovo. Il Giudice Ordinario rigettava il ricorso rispetto ai motivi umanitari, ma concedeva termine per riassumere la domanda relativa ai motivi di lavoro, davanti al Giudice Amministrativo.

Con ricorso in riassunzione al T.A.R. veniva, pertanto, impugnato tale provvedimento, per evidenti profili di illegittimità, formulando una doverosa istanza di sospensione del provvedimento del Questore.

Oltre agli elementi di fatto prodotti ed alla documentazione allegata (tra cui la proroga del rapporto di lavoro al 31.12.2021, data oltre alla quale il ricorrente non avrebbe potuto reperire ulteriori occupazioni posta la scadenza del permesso di soggiorno), di per sé dimostrativa del diritto del ricorrente ad ottenere tale permesso, la difesa argomentava come segue.

 

È fatto obbligo alla P.A., secondo costante giurisprudenza amministrativa oltre che ordinaria, di considerare sempre nuovi elementi sopraggiunti, che non consentano anche il rilascio di permesso di soggiorno per motivi differenti da quelli per i quali è stato richiesto, sanando così irregolarità amministrative.

Così la Giurisprudenza Amministrativa (Consiglio di Stato, sez. I, adunanza 17.06.2020 n. affare 00615/2020) richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia nell’affermare che, risultando evidente dagli atti versati che il ricorrente abbia rappresentato e documentato la propria condizione lavorativa, chiedendo proprio sulla base di questa la conversione del permesso di soggiorno in permesso per motivi di lavoro, abbia diritto al rilascio del permesso anche ad un titolo diverso da quello precedentemente posseduto.

Nel caso in questione, pertanto, la Questura incorre in un evidente errore su almeno due fronti, anche e soprattutto quando indica che il ricorrente non avrebbe chiesto tempestivamente la conversione.

In questo caso, ad esempio, la documentazione prodotta dal ricorrente avrebbe dovuto modificare la valutazione della PA poiché dimostrava di avere una condizione che gli consentiva di ottenere il titolo di soggiorno che – per facta concludentia – aveva richiesto.

Il decreto adottato dal Questore era pertanto del tutto illegittimo, caratterizzato da vizi sostanziali significativi.

Ciò nonostante l’interpretazione della Questura fosse evidentemente volta alla formalizzazione di una domanda di permesso per motivi di lavoro, come ampiamente indicato con riferimento agli importi pagati per la formalizzazione della domanda stessa.

 

Ulteriormente si ponevano profili di illegittimità del provvedimento della P.A. legati alla mancata considerazione di abbondante documentazione lavorativa prodotta (da ultimo, la proroga del contratto di lavoro).

A parere di chi scrive in casi similari è doveroso proporre istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Evidenziata la sussistenza – in diritto – del fumus boni iuris, erano altrettanto evidenti i profili del periculum in mora. Al netto di ipotetiche ed ulteriori proroghe (anche) dei divieti di respingimento per via della situazione pandemica, non poteva essere ignorata la concreta possibilità per la quale le condizioni di vita del ricorrente avrebbero potuto essere irrimediabilmente pregiudicate; posto che al netto della proroga al 31.12.2021 della validità dei permessi di soggiorno, le espulsioni sono ad oggi regolarmente eseguite.

Ciò detto, nessuna espressa previsione è indicata nel D.L. 23.07.2021 n. 105 (proroga stato di emergenza) rispetto alla proroga della validità dei permessi di soggiorno, ogni riflessione in merito è meramente interpretativa e non sorretta da fonti scritte, allo stato.

In ogni caso, si deve considerare che le proroghe c.d. emergenziali di cui al precedente D.L. 56 / 2021, ricomprendono la proroga della validità dei permessi di soggiorno scaduti dopo il 31 gennaio 2020, pertanto il ricorrente non poteva beneficiare nemmeno di tale possibilità, vista la scadenza del proprio permesso di soggiorno e la data del provvedimento impugnato, datato 2019.

Tale denegato scenario si sarebbe tradotto non solo nel pregiudizio alla capacità lavorativa del ricorrente, privato così di ogni possibile tutela anche ex art. 35 Cost. alla luce della potenziale perdita di ogni fonte di reddito, ma le conseguenze di tale denegata possibilità avrebbero ovviamente investito anche la vita privata e, soprattutto, sociale, del ricorrente, che si sarebbe trovato in una condizione di assoluta vulnerabilità e privo di ogni forma di tutela.

 

LA SOSPENSIVA DEL T.A.R.

Il T.A.R. per l’Emilia Romagna (I sezione) ha pertanto emanato ordinanza cautelare N. 403/2021, con la quale accoglieva l’istanza di sospensione avanzata dal ricorrente, ordinando alla P.A. di riesaminare la posizione dello stesso alla luce degli elementi dedotti in ricorso, ritenuti meritevoli di accoglimento già ad un primo esame sommario.

 

(Ordinanza T.A.R. Emilia Romagna n. 403/2021)

 

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Avv. Filippo Antonelli